Non è stato che un sogno a vergare le ossa,
un dolore piccino che ora muove da solo e rinuncia
come un petalo steso sconfitto sul ventre
dal guadagno del sole.
Non avevo nel petto altro che il desiderio
di un gemito sordo, fosse anche malato in ginocchio
o confuso
negligenza di un vivere che si piega al dolore del vento.
Ora nego quegli occhi, davvero li nego, mentre canto
al disordine il luogo dove sosta è smeriglio di onde,
mentre accendo i miei fari noiosi sul carteggio del giorno
e assomiglio a mia madre che parla di piante perenni
che non scendono mai a carezzarle le pene più bionde.
Tu sei stato, ed il sogno addolora perché aveva il riflesso smaltato
di chi cerca quell'oro sulle mani vestite
che si accendono ancora a disegnare la sabbia strappata dal mare
e a rotolarmi granelli,
oro mare di parole sperdute, oro vento come il punto impreciso
che ti ha visto arrivare, dritto al dolore, dritto al silenzio,
zitto dell'acqua che svelto portavi e una goccia, una sola,
ma era per me.
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