Del mio sesso posso dirti le parole,
ché niente sento addosso se non la filigrana
rasa di un respiro
e un interminabile
silenzio
vendetta calda che sverna solamente
la cucitura aspra della sera.
Dentro è il segreto
di rose in cura senza l'accento di un profumo
e tutta quella, tutta quanta la tua voce
che non conosco mai e che sento
a notte a notte
quando saetta il vento e la finestra predica
il suo panico veloce in mezzo agli occhi.
Dammi le mani a spaventare
il nord delle mie vene azzurre
di altri oceani
che non ricordo il tuo sospiro bruno
e il pane masticato dei tuoi viali
sulle cosce,
briciole e un siero di fortuna
forse danzante come la mezzaluna a fuoco
dietro l'ombra.
Dammi le vesti che possa ripiegarne
fioriture di rampicanti esuli nascosti
e una lingua al fiume del tuo ventre
che scorre ai sassi duri
di me incompresa
e tu che mi raccogli.
Infine, dammi di una parola quel castello
mattone rosa che scivola le crepe
dove si ferma anche il tramonto
caduto sulla meteora di un miraggio
innamorato rosso che ti somiglia come in uno specchio
e perde il piede scalzo
dentro un bivacco d'ossa
e ascolta
il suono tondo del seno che si alza
e ti sussurra al cuore che la parola è luce nera
che si accende
e la parola tua, soltanto,
il bene che mi salva.
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