APOSTROFO
Sopra il mio corpo notturno
di luce assetata agli spigoli colmi
non mormora il vento,
reggo la luna alle statue sul bordo
quelle segnate dal gesso
che piangono
quelle che parano il mare
all'incrocio degli occhi.
Ci sono pieghe di sale
a scollinare sui fianchi,
la bardatura dell'anima è lesta,
mi offre una tazza di tè sulle piume
e poi vola
perché lo spazio è pianura
rivisitata dai sogni.
Sotto la canna fumaria del tempo
sto respirando ragioni
che spogliano
anche la tela macchiata sul ventre
da uno scompiglio di stelle,
una discesa di mani
che toccano
e restano
su questa valle di schiena
che dorme,
col suo sapore bambino.
Forse domani avrò pace
e premure
e ritorni,
forse cadrà dalle spalle la piovra
di una gelata notturna
e riderò quando gli occhi
respireranno le nuvole
come uno scarto di azzurro,
una virata che canta ed affonda
di suoni
questo selvaggio silenzio.
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