Di quei balli sull'acqua
L'ho vissuto veloce il mio mare,
senza venti scolpiti o male parole che ghiacciano
superfici scontrose,
l'ho vissuto di accenti e un travaglio di pioggia che affina
pena di onde più verdi, quelle fonde che salgono
a respirare colori come becco di uccello affiorato,
digitale di schizzi sull'inverno che viene.
Ho scagliato il mio mare lontano
quando mi è parso tardi e lo sciame di stelle inseguiva
e io lesta, sul molo, a scheggiare di unghie un ritratto di luna
conservato a memoria in cassetti - comparse, con la testa voltata
e un sacchetto di terra nutrito sui miei passi di danza
mescolati coi dadi.
Se di adesso è il perdono che mi unge le dita,
l'olio santo del mare fruga ancora le pieghe
di quel giovane bacio al corallo impietrito di sale
e negli occhi ora è musica, il fruscio più impietoso
che mi resta di me e di quel tempo di balli sull'acqua,
una giga sottana che sventaglia il filtrato di sabbia
sulle ore marcite
come ultima goccia che piega la testa e si addentra nell'ombra
reclinata sui fiori.
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