L'attesa del piacere è essa stessa piacere.
La luna non mi aiuta stasera,
magari pensa che tu sia troppo distante
e ingrandisce la notte
senza fare troppa luce;
un oceano di silenzio
che non conosce i limiti
imposti dall'acqua
quando non scorre.
Perché la lama è sottile
e non ha fasce, un gesto sublime
tra il lirico e l'atroce,
a volte è indicibile il dolore
che s'incrocia nello spazio tra due occhi.
Tu mi scrivi e poi ti fermi,
come fossi io a regolare
il ritmo dei tuoi sospiri.
Dammi un segnale,
non dirmi mai che può bastare.
Aspetto, senza un barlume
di mare dentro la stanza;
un quadro, due mensole,
un televisore che è sempre spento.
Tu t'inventi una scusa,
mi dici che è ora di alzare
il volume dei pensieri,
fare rumore per dimostrarci
che esistiamo,
che non possiamo fare senza.
Io sono lento, ti chiedo solo
di riposarti sotto un albero sbilenco,
perchè rincorrermi non è mai servito
che ad accelerare il colore
che mi rende simile ad uno che ha perso.
Distenditi e rilassa i tendini del collo,
non chiudere la porta, aspettami,
apri le mani se ne hai bisogno.
Sono debole, se non riesco
a misurare la traiettoria cinica
di certi sentimenti, e arranco
lungo la salita che mi separa
da ciò che tu pretendi di essere,
delicatezza e roccia insieme,
abbraccio più lucido dello smeraldo.
Trasparenza che si fa ombra
quando ci prendiamo per mano
e inganniamo il tempo
dondolando come vecchi
salici piangenti.
Avrei voluto imparare
a fare un pezzo rock,
perdonami, sono bravo
solo ad improvvisar canzoni
che poi non ti so cantare.
Balbetto il ritornello
per osservare meglio le tue labbra confuse,
mi diverto a pasticciare
le prime note che ti vengono in mente.
Mi vorresti dire di non andare via,
ma poi una folata ci trascina altrove,
dove non c'è più tempo
nemmeno per respirare.
Amami, oppure trova il modo,
inventa una scatola che mi dia pace.
E non dire che non importa
quel che pensa la gente,
che domani potresti essere
già sogno di porcellana,
immobile e liscia,
aver dimenticato insieme ad un nome
i gesti che hai solo intravisto,
il senso delle mie parole.
Le stelle non mi vogliono ascoltare,
se ne stanno mute,
sembrano persino meno brillanti.
Non immaginano neanche
il motivo di tanto clamore.
E mentre tu raccogli ipotesi
e ti riempi le mani di sabbia umida,
io colleziono idee
che diventeranno onde,
aspetto solo che il nuovo sole
faccia sentire la sua voce.
Lancio monete in aria
e poi le riprendo,
chissà da che parte
starai guardando adesso.
Chissà se poi è vero che mi pensi.
Testa o croce,
vediamo se indovini.