Governare è far credere.
E poi mi accorgo
che in fondo non era
una terra senza orizzonti
quella che volevo;
e che mischiare le carte
non è servito
che ad aumentare le distanze
tra ciò che ero
e gli spiragli innocenti
che credevo ancora aperti.
Sprazzi di sentimenti
che rompono gli schemi,
volteggiano come avvoltoi
che hanno perso l'istinto del sangue
insieme all'entusiasmo.
Ed ogni volta sono folate
sulla mia brama di felicità,
rasoi che affondano sulla carne
senza mai lasciare il segno.
Avrei voluto darti un altro nome,
parole capaci di stuzzicare le fantasie
più audaci, rosse come il pudore
che mi tiene in vita ogni volta
che ti sento sussurrare
tra i fogli che adesso sì,
è vero che sei felice.
So quanto ci tieni ai miei occhi,
per questo li lucido ogni mattina.
Sei tornata piano, come un angelo
che ha fatto un giro troppo largo,
giusto per mettere a punto
un nuovo movimento d'ali.
Io so dove sei stata,
anche se tu poi mi guardi storto,
e mi dici che in fondo
sei andata via solo per un secondo.
Il passato ci ha riempito
le mani di stracci
che somigliano alla paura,
per questo quando
mi hai mostrato il petto
io ti ho chiesto chi eri.
Se poi finisce
che ti cerco sempre
è perché ho più di un sogno
dentro quella specie
di camera senza infissi
alle finestre. Un desiderio
che mi porta lontano
ogni volta, a soli due centimetri
dal tuo profilo che
è sempre diverso,
mille quadri e un disegno
non sarebbero sufficienti
a contenere nemmeno
il dettaglio della tua voce.
Eppure io ancora ci credo
che qualcosa possa cambiare,
alzo le gambe alla notte
e mi tuffo a capofitto
tra le ombre che mi rincorrono,
gioco a nascondino coi rimpianti,
loro mi chiamano fratello.
E tu, dall'alto di un pensiero
rimasto impigliato chissà dove,
ti prendi cura dei miei sbagli,
cerchi un punto d'appoggio
per sollevarti di qualche metro
e regalarmi finalmente
un briciolo d'infinito.
Anche se poi la malinconia
ci risucchia indietro,
a fare quello di cui
non ci credevamo capaci,
amarci in santa pace,
senza dire niente.
Una sorgente di meraviglia
che si porta appresso
la perversa fantasia
che ci vorrebbe sempre uniti,
come marito e moglie
ingannati dal medesimo destino.
Ma siamo troppo fragili,
battiamo i piedi dallo spavento
se una goccia ci colpisce,
e poi lo sai, siamo troppo distanti.
Anche se spero sempre
che tu riesca a sorridere al tempo
che ci ha tenuti ai margini
e poi voglia ancora essere regina,
la sola a decidere
la direzione e il corso
delle improvvise impennate
e delle sfumature umide
che si nascondono
dietro ai mutamenti veri.
Io faccio il bravo,
mi stendo su un mare di foglie
e rimango a guardare.
Come quel ragazzino
che appoggiava il motorino
sull'asfalto e con un salto
colorava d'azzurro il suo mare.
Tu eri là, solo un pò più distratta
e assonnata di adesso.
Stesa sull'asciugamano,
non immaginavi neanche
quanta fatica ti sarebbe costata
ritrovare sulla sabbia
spazzata dal vento
il sapore delle mie impronte.
Ora che lo sai,
potresti anche chiudere gli occhi
e lasciarti prendere per mano.
Anche solo per il gusto
di sentirti capita, anche solo per un'ora.
Quel nome che avrei voluto darti
magari è quello che avevi in mente tu,
rimasto per anni a farsi cercare
sotto la polvere dei ricordi,
sale tra gli zigomi e le ciglia.